L.Zacconi 1622
Cap.34 Libro Secondo

Dell’obbligo che hanno i maestri in insegnare di far Contrappunto alla mente ai loro Scolari.

Per molto e molto che io col tempo m’abbia praticato e conversato con musici valent’uomini maturi e buoni, e veduto lo stile che loro tenevano in insegnare il Contrappunto ai loro scolari, non ho mai veduto che abbiano tenuto maniera lodevole e facile in insegnare ai scolari di fare Contrappunto alla mente: ma tenendolo diverso; chi non gli l’ha insegnato se non con dirgli impara da te stesso con l’immaginarti prima quello che tu vuoi estendere alla Cartella, che pigliandone tu pratica, ne diverrai padrone e Professore.
E chi gli ha mostrato nella persona sua, intanto che; facendo allo Scolare cantar il Canto fermo, ed egli stesso contrapuntandovi sopra, dicevano: senti?, si fa così, si fa colà.
Altri anche interrogando lo Scolaro con dirgli: Che cosa faresti tu sopra queste quattro note? Pensa bene nella tua mente quello che tu vuoi fare, e poi fammelo sentire senza che tu me ne faccia mostra alcuna. E ve ne saranno anche altri che usano altre maniere che io no abbia visto praticare; ma a che giova se questi tali non vanno per la diretta via che dovrebbero praticare?


Anch’io, quando da principio mi posi a questa impresa di imparare la Musica, andando a scuola dal Maestro di Cappella di Pavia nell’anno 1583, per sei mesi continui ch’io v’attendessi, non potetti mai avere grazia di poterlo imparare, e me ne morivo di gola per dire come si suol dire. Onde per un mio negozio, convenendovi di andare a Mantova, dov’era Maestro di Cappella Ippolito Baccusi, andando da lui, e narrandovi il desiderio mio, e quanto ch’io bramavo, veduto c’ebbe prima due mie lezioni in Cartella, un giorno mi menò da un suo Scolaro, al quale egli gli insegnava di Contrappunto alla mente e quivi, cantandovi prima alcuni Madrigaletti, fece cavar fuori un libretto di Canto fermo, disse a me, attendete ed osservate quello che stiamo facendo. E detto giovane, cominciando a cantar sopra, vidi che camminando dalla terza alla quinta, dalla quinta alla terza, toccando a volte la sesta a volte l’ottava, molte di queste cose che faceva lui, avrei potuto fare anch’io.


E perché il Canto fermo era corto e breve, finito che egli ebbe di fare il Contrappunto, m’interrogò e disse: fate anche voi un poco quello che ha fatto lui e dandomi l’animo di poterlo fare, cominciai a dire quel tanto che io avevo osservato e tenuto a mente, e benché io non lo sapessi dir tutto, pigliando maniera e indirizzo, come si doveva fare, mi avvidi che egli non camminava se non qui si vede.

E così da quella sola lezione, pigliandovi io modo, maniera e indirizzo, il dí seguente, anch’io ve ne seppi far un altro, perché tenendomi a memoria tutti quei passi comuni e facili che vi aveva fatto lui, me ne servii dove più mi tornavano comodi e mi facevano bisogno, e dissi a me stesso: Vatti con Dio, che questo è il vero modo di insegnare detto Contrappunto alla mente.

E tanto io dico che si faccia, perché più impara uno scolaro da un altro che sia Principiante in questo, che da un buon Maestro; essendo che, il Maestro non vi fa mai cose che non siano di qualche giudizio e considerazione, lo Scolaro che non sa molto, vi andrà sempre con le maniere triviali e comuni. E dove il Maestro avrebbe vergogna di replicare una cosa due o tre volte, questo, perché di Contrappunti ancora non è padrone, si serve di quello che egli si può servire, non stante come ho detto, che dica una cosa più volte di seguito.