I TEMPERAMENTI (1)

Nozioni teoriche fondamentali - Temperamenti pre-barocchi

(Apparso nel bollettino dell’AIMA Firenze giugno 1981)

 

 

Un po' di numeri

L'intervallo fra due suoni si può definire, in modo preciso esprimendo il rapporto fra le loro frequenze. L'intervallo di ottava, ad esempio, corrisponde ad un rapporto di 2 a 1 (cioè 2/1 = 2), la quinta ad un rapporto di 3 a 2 (cioè 3/2 = 1,5) e la terza maggiore ad un rapporto di 5 a 4 (cioè 5/4 = 1,25).

Per fare degli esempi, due suoni le cui frequenze siano 150 Hz e 300 Hz, oppure 200 Hz e 400 Hz oppure ancora 500 Hz e1000 Hz formano sempre un intervallo di ottava; mentre due suoni le cui frequenze siano 300 Hz e 450 Hz formano un intervallo di quinta; se invece sono 400 Hz e 500 Hz oppure 800 Hz e 1000 Hz l'intervallo è una terza (maggiore). Come ulteriore esempio, possiamo immaginare un suono di 100 Hz (che equivale all'incirca aI Sol in primo rigo in chiave di basso) e costruire su di esso una triade maggiore, dato che la sua terza (cioè il sì) avrà una frequenza di 100 x 1,25 = 125 Hz, la sua quinta (il re) avrà una frequenza di 100 x 1,5 - 150 Hz e l'ottava una frequenza di 100 x 2 - 200 Hz.

Quando questi rapporti sono rispettati, l'intervallo risulta all'orecchio umano intonato, altrimenti si percepirà una stonatura. Il problema è che quando si vuole, ad esempio, accordare una tastiera, è impossibile rispettare tutti e tre quei rapporti per tutte le note, ma, da qualche parte, bisogna per forza introdurre delle deviazioni e quindi delle stonature. Però a parità di deviazione, l'ottava dà una sensazione di stonatura più forte della quinta ed essa, a sua volta, più forte della terza. Ne consegue che il rapporto di ottava non può essere trasgredito senza gravi conseguenze, mentre la quinta e, ancora di più, la terza, consentono un certo margine di variazione.

Il comma sintonico

Partiamo, per esempio, da un do e, costruiamo su di esso 4 quinte: do - sol — re’ — la’- mi’’. Chiamata "a" la frequenza del do di partenza, il mi di arrivo avrà una frequenza pari a:

a x 3/2 x 3/2 x 3/2 x 3/2 = (3/2) 4 a = 81 /16 a.

Ma il medesimo intervallo do — mi’’ può essere considerato anche come la sovrapposizione, non di 4 quinte, ma di 2 ottave e una terza (do — do’ — do’’- mi’’-) e allora il mi di arrivo deve avere una frequenza:

a x 2 x 2 x 5/4 = 5a

diversa da 81/16 a. Siccome le due ottave non possono essere alterate, abbiamo due possibilità: o si fanno pure le 4 quinte e allora la terza do’’ — mi’’ sarà stonata (per la precisione troppo larga) o si fa pura la terza e allora almeno una delle quinte sarà troppo stretta. In ogni caso non è possibile avere la terza e le quinte contemporaneamente intonate.

L'intervallo fra queste due possibili frequenze dei mi":

81/16 : 5 = 81/80 = 1,0125

viene chiamato "Comma sintonico " ed equivale a poco più di un quinto di semitono


Il comma pitagorico

Partiamo stavolta da un mib e costruiamo 12 quinte:

mib - sib - fa’ - do’ — sol’’ — re’’ - la - mi - si — fa# - do#- sol#- re#, il re# di arrivo avrà una frequenza pari a:

(3/2)12 x a =129,683 a

(dove "a" è sempre la frequenza della nota di partenza) e sarà 7 ottave sopra al mib, ma non. 7 ottave pure bensì un po’ larghe. Il mib infatti deve avere una frequenza pari a:

27 x a = 128a

cioè è lievemente più basso del re#: non c'è insomma scambio enarmonico fra le due note.

Anche qui due possibilità: o accordiamo tutti i tasti neri fra re e mi (ricordiamo che le ottave non possono essere toccate) come mib (cioè in quinta pura coi sib) e allora la ‘quinta’ sol# - mib sarà stonatissima, dato che, senza la possibilità di scambio enarmonico, è in realtà una quarta più che eccedente; oppure li accordiamo come re# (cioè in quinta pura coi sol#) e Ia stonatura sarà allora coi sib.

In ogni caso la dodicesima quinta (onomatopeicamente chiamata "quinta del lupo"), quella che dovrebbe richiudere il circolo, risulterà impraticabile perché troppo dissonante e nel circolo delle quinte, che come si vede non è un circolo poiché in realtà non si richiude, si produce una frattura che impedisce di modulare alle tonalità che contengono il re# (nel primo caso) o il mib (nel secondo).

Questa frattura, pari all'intervallo fra mib e re#

(3/2) 12 : 2 7 = 3 12 /2 19 = 1, 0131,

viene chiamato "comma pitagorico" ed è lievemente più grande dei comma sintonico (quasi un quarto di semitono); nella pratica dell'accordatura non si compie errore avvertibile a considerarli equivalenti in cambio di una notevole semplificazione delle procedure.

Da questa impossibilità di avere contemporaneamente pure tutte le ottave, tutte le quinte e tutte le terze deriva la necessità di scendere ad un compromesso, cioè ad un "temperamento- di alcuni intervalli, ritenuti meno importanti; tale compromesso può essere attuato in infiniti modi diversi, molti dei quali ci sono effettivamente testimoniati dalla trattatistica antica, generando così una molteplicità di temperamenti corrispondenti alle diverse scale di importanza dei vari intervalli connesse, a loro volta, con l'evoluzione della pratica musicale.


Il temperamento pitagorico

Una delle possibili soluzioni a questo problema, di fatto la più antica, consiste nel lasciare le cose come stanno: si avranno perciò undici quinte pure più una quarta più che eccedente (il lupo) da cui segue di necessità, per quanto abbiamo visto prima, che tutte le terze costruite con 4 quinte saranno troppo larghe (di un comma) mentre quelle costruite con 3 quinte e il lupo saranno (all'incirca) pure: le prime sono otto e le altre sono quattro.

Questo è ciò che viene comunemente chiamato il "temperamento pitagorico " ed è stato, presumibilmente, di uso generale fino all'inizio dei '500.

Il lupo poteva essere localizzato fra mib e sol# (fig. 1a) oppure (come ci è testimoniato da vari trattati dei primo rinasci mento: Ugolino da Orvieto, Arnaut di Zwolle, ecc.) fra fa # e do# (fig, 1b) o fra si e fa # (fig. 1c):

     
do
     
    fa  
sol
   
  sib      
re
 
mib     Fig.1.a    
la
-1
sol#      
mi
 
    do#  
si
   
     
fa#
     
     
do
     
    fa  
sol
   
  sib      
re
 
mib     Fig.1.b    
la
  sol#      
mi
 
    do#  
si
   
   
-1
fa#
     
     
do
     
    fa  
sol
   
  sib      
re
 
mib     Fig.1.c    
la
  sol#      
mi
 
    do#  
si
   
     
fa#
-1    

 

In ogni caso, le 4 terze che risultano a cavallo dei lupo e cioè:

caso a: si - mib (re#), fa - sib (la#), (reb) do# - fa, (lab) sol# - do

caso b: la — do#, mi-sol#, si-mib (re#) fa#-sib (la#)

caso c: re - fa#, la-do#, mi-sol# si-mib (re#)

essendo costituite di 4 quinte di cui una stretta di un comma (il lupo, appunto) sono pure, mentre le altre otto, essendo costituite di 4 quinte tutte pure, sono come si diceva prima più larghe dei giusto un comma.

Se supponiamo che questi tre casi si siano succeduti nel tempo (il che anche se approssimativo non è inverosimile) possiamo notare nel caso alla tendenza a porre il lupo in una quinta poco (o nulla) usata in modo da avere pure quelle più frequenti, benché in tal modo anche le poche terze pure risultino essere le meno usate; mentre negli altri la tendenza è di accettare una quinta stonata fra quelle effettivamente usate pur di avere a disposizione qualche terza pura. Questa evoluzione concorda con la ritrosia iniziale della pratica ars-novistica ed alto-fiamminga ad accettare la terza come consonanza (dato che effettivamente le terze pitagoriche sono dissonanti) e con le cautele che essa dimostra nell'usarla (ad esempio, la preferenza per accordi iniziali o cadenzali di quinte vuote); ritrosia progressivamente superata, nel corso del '400, con una specie di ' emancipazione della terza‘.

La definitiva affermazione della terza come consonanza, coincide con la diffusione di un nuovo tipo di temperamento che rappresenta una seconda possibile soluzione del compromesso.


Il "tono medio"

Come abbiamo visto prima, per avere la terza pura bisogna stringere le quattro quinte di un comma in tutto, per esempio un quarto di comma ogni quinta. Ripetendo per undici quinte, si ha un'eccedenza di 11/4 di comma per cui il lupo (di solito sol# - mib) che in partenza era carente di un comma risulta alla fine eccedente di 11/4 - 1 = 7/4 di comma cioè un comma e 3/4 ed è quindi ancora un lupo (fig. 2)

Le quattro terze (le stesse dei precedente caso a, per altro come si diceva, le meno usate) che contengono questa quinta risultano eccedenti di 2 comma ma le altre 8 sono perfettamente intonate (la verifica è lasciata al lettore).

Questo schema generale, noto come "tono medio " a 1/4 di comma ammette alcune varianti: infatti il sol#, per esempio, è in terza pura col mí, ma non coi do, cioè non funziona come la, se si vuole suonare un pezzo che anziché il sol# contiene il lab bisognerà accordare i tasti neri fra sol e la in terza con il do e non con il mi, il lupo risulta spostato fra soI# (cioè lab) e do#; analogamente per le coppie mib — re#, do#- reb, ecc..

In autori a cavallo fra rinascimento e barocco come Frescobaldi o Sweelinck può capitare di imbattersi in pezzi che contengano contemporaneamente, per esempio, sol# e lab, si possono allora fare varie ipotesi: o il temperamento da adottare non era il tono medio o l'impiego di una "durezza" era voluto per fini espressivi o si prevedeva l'uso di una tastiera con tasti neri sdoppiati.

La presenza di quinte tutte scordate concorda con il progressivo costituirsi dei divieto dell'accordo di quinta vuota che, in queste condizioni, risulta non perfettamente consonante; questa stonatura viene invece mitigata ‘riempiendo’ la quinta con una terza: ecco allora la preferenza per accordi con la terza piuttosto che senza, come nel periodo precedente.

Il tono medio (descritto, fra gli altri, da Zarlino, Praetorius, Mersenne fino a Werckmeister, ecc.) fu verosimilmente d’uso generale fino al '600 inoltrato, ma si danno casi di organi costruiti a cavallo dei '700-'800 ancora con questo temperamento.


In pratica

Non è naturalmente possibile stabilire con un taglio netto quando si sia verificato il passaggio dal pitagorico al tono medio: si tratta piuttosto di una lenta evoluzione- che per di più non dappertutto ha progredito con lo stesso ritmo e per lo stesso cammino; questi temperamenti (e gli altri coevi che non abbiamo trattato per semplicità) sono poi schemi generali che consentivano ampie possibilità di variazioni e di sfumature secondo la tradizione di ogni singola scuola o il gusto di ogni singolo musicista: anche oggi, lo vediamo, il temperamento equabile, che pure in teoria dovrebbe essere universalmente adottato, solo raramente viene, messo in pratica alla lettera.

In linea molto generale è però possibile dare alcune indicazioni come punto di partenza per la ricerca (e la sperimentazione) di ciascuno. Possiamo ritenere i temperamenti pitagorici adatti alla produzione tastieristica medievale e alto-rinascimentale: dalle estampies (meglio il tipo a) alle intavolature della Coloratur (Buxheimer Orgelbuch, Auerbach, Ohr, ecc.; meglio i tipi b e c); mentre per le opere del rinascimento e primo barocco, fino a ed oltre gli elisabettiani o fino a Frescobaldi, Storace, ecc.. il tono medio è senz'altro preferibile, ferma restando la possibilità di soluzioni particolari, da ricercarsi caso per caso, di fronte a pezzi dal contenuto armonico Particolarmente ricco.

Possiamo chiamare tutti questi temperamenti "temperamenti aperti", data la presenza di un lupo che impedisce di modulare oltre un certo limite; in seguito la pratica musicale ha visto l'affermazione di temperamenti chiusi, cioè senza lupo, che consentono perciò di modulare indefinitamente, di cui ci occuperemo in un prossimo articolo assieme ad alcuni rudimenti di pratica dell'accordatura.

Maurizio M. Gavioli



Bibliografia

Alcune fonti principali:

UGOLINO da ORVIETO, Declaratio musicae disciolinae (ca. 1430), pubbl. mod. in "Corpus scriptores de musica VII, 3 voll. Roma 1960-62.

FRANCHINO GAFFURIO, Theorica musicae, Milano 1492; rist. anast.: a cura dell'Accademia d'Italia, Roma 1934. Practica musicae Milano 1496.

GIOSEFFO ZARLINO, Istitutioni harmoniche, Venezia 1558 (soprattutto la I parte); fac-sím.: Broude Bros., New York 1965; fac-sim. dell'ed. del 1973: Ridgewood, New Jersey 1966.

VINCENZO GALILEI, Dialogo della musica antica et della moderna, Firenze 1581; fac-sim.: Roma 1934.

MICHAEL PRAETORIUS, Syntagma musicum, 3 voli.; Wolfenbúttel 1618-20; pubbi. mod. in "Documenta musicologica" 1, 3 voll., Bärenreiter, Kassel 1958-59, nn. 21, 14 e 15.

MARIN MERSENNE, Traité de l'harmonie universelle, 1627. L'harmonie universelle, 1636-37, il cui solo Traité des instruments è pubbl. in fac-sim. a cura di R.E. CHADMAN, Den Haag 1957.

ANDREAS WERCKMEISTER, Erweiterte und verbesserte Orgel-probe, Quecilinsburg 1692, fac-sim.: Bärenreiter, Kassel 1927. Musikalische Temperatur, Frankfurt e Leipzig 1686-87-91.

Dalla vasta letteratura moderna su questi problemi, riportiamo solo le principali opere a carattere generale che affrontino il periodo preso in considerazione in quest’articolo:

Ormai storico è J. MURRAY BARBOUR, Tuning and temperament, a historical survey, East Lansing, Michigan 1951, ricco d’informazioni e considerazioni teoriche, è forse un po' superato come prospettiva storica.

Più recente: LLOYD e BOYLE, Intervals, Scales and temperaments, MacDonaid, London 1963, affronta il problema dei temperamenti come parte di una più ampia trattazione teorica.

MARK LINDLIEY, 'Instructions for the clavíer diversely tempered', in "11arly Music- 1977, pp. 18-23, è una introduzione storica e teorica molto concisa ma utile.

Densissima invece la voce Temperament sempre di M. LINDLEY in New Groves dictionary of music, voi 18, pp. 660-674, MacMillian, London 1980, alla quale rimandiamo anche per un approfondimento bibliografico.

Più legato a problemi di pratica dell'accordatura: HERBERT A. KELLNER, The tuning of my harpsichord, Verlag das Musikinstrument, Frankfurt 1979.



Note:

Riferendoci all'esempio più tangibile, una corda vibrante, la frequenza dei suono prodotto da essa è il numero di oscillazioni compiute in un secondo attorno ad una posizione centrale di riposo. Se, in un secondo, la corda si muove, per esempio, 400 volte da una parte e dall'altra rispetto alla posizione da ferma, si dirà che il suono emesso ha una frequenza di 400 Hertz (abbr.: Hz). Più è alta (bassa) la frequenza più il suono è acuto (grave). A titolo illustrativo, ricordiamo che l'orecchio umano è in grado di percepire suoni compresi fra ca. 20 Hz e ca. 20.000 Hz, l'estensione. di un pianoforte è invece compresa fra i 30 e i 3500 Hz.

Materializzata, se non è eccessiva, dal fenomeno dei battimenti sul quale ritorneremo in un prossimo articolo.


Nelle figure, i numeri in corrispondenza di ogni quinta indicano l'entità della deviazione dall'intervallo puro: - 1 indica perciò una quinta più stretta di un comma rispetto all'intervallo teorico di 3/2, + 1 una quinta più larga di un comma e 3/4 ecc.. Se nulla è indicato la quinta s'intende pura. Inoltre ogni tasto nero verrà indicato con uno dei due nomi che può assumere, sempre lo stesso. Si noti per altro che, per esempio, in fig. 1a il mib è un mib se si guarda alle quinte poiché forma una quinta pura con il sib e non con il la# ma guardando alle terze è un re# essendo in terza pura con il si e non con i sol. L'uso dell'uno o dell'altro nome è perciò prevalentemente convenzionale.


Nell'articolo di M. LINDLEY 1977 (v. bibliografia), ad esempio, la probabile adozione dei temperamenti tipo b o tipo c è messa in relazione con esempi della scrittura accordale dei Buxheinner Orgelbuch.


Cosi chiamato perché gli intervalli di tono: do-re, re-mi, fa-sol, ecc. risultano tutti uguali, i semitoni sono invece diversi l'uno dall'altro e provocano perciò effetti particolari soprattutto nei passaggi cromatici. Sono comunque testimoniati anche altri "toni medi" a 1/3, 2/7, 2/9 di comma, ecc., in cui le quinte sono temperate appunto tutte di 1/3, 2/7, 2/9 di comma ecc..


Per un effetto acustico che ognuno può sperimentare ed è forse connesso con l'effetto di mascheramento.

Indice-